Virus truffatori e teoria dei giochi

Silvio Berlusconi

Un virus truffatore

Si dice che la frase «ogni minuto nasce un credulone» sia stata coniata da P.T. Barnum, l’impresario del celebre circo americano. In realtà, Barnum negò di averla mai pronunciata, ma chiunque sia stato a esprimersi in modo così cinico sull’ingenuità umana non poteva certo prevedere che i termini «imbroglione» e «gonzo» sarebbero stati usati anche per descrivere dei microrganismi. Io e i miei colleghi, però, stiamo studiando le interazioni fra virus, e a quanto pare anche per questi organismi le strategie di sfruttamento dei loro simili sono un modo per «guadagnarsi da vivere».

La tentazione di imbrogliare sembra un elemento onnipresente della vita. Nella lotta per la sopravvivenza e la riproduzione che guida l’evoluzione, gli individui egoisti possono essere favoriti rispetto a quelli cooperativi perché usano le proprie energie in modo più efficiente. Per definizione, gli imbroglioni spendono poca energia in un compito: la loro specialità è sfruttare i «gonzi», dei quali cooptano gli sforzi a proprio vantaggio.

Vi sono specie animali in cui alcuni maschi usano moltissime energie conservando e difendendo il territorio per attrarre le femmine. Ma all’interno della stessa popolazione possono essereci maschi subalterni «opportunisti», a cui non interessa il territorio ma che girovagano intorno ai suoi confini e si specializzano in accoppiamenti furtivi. Questa strategia funziona benone per garantire la presenza costante di un gruppo di profittatori, ma è poco probabile che la popolazione si evolva fino a contenere solo imbroglioni perché le femmine in calore sono molto più attratte dai maschi territoriali.

In generale, gli imbroglioni hanno molto successo quando sono pochi, perché in questo modo incontrano vittime più di frequente. I benefìci dell’inganno diminuiscono via via che aumenta il numero di individui di una popolazione che decidono di barare. Nel gergo della biologia evolutiva, il successo degli imbroglioni dovrebbe essere controllato dalla selezione dipendente dalla frequenza. In altre parole, bisogna tener conto anche dei costi associati a una strategia basata sull’imbroglio, per cui gli egoisti godono di un vantaggio quando sono pochi, ma sono sfavoriti quando sono numerosi.

La teoria dei giochi è un strumento utile per predire matematicamente quale strategia risulterà vincente in un contesto simile. I sociologi la usano per prevedere quali comportamenti si diffonderanno all’interno di una popolazione, specialmente nel caso di conflitti tra figure come «falchi» contro «colombe», ma anche «cooperatori» contro «imbroglioni». Uno dei risultati più interessanti di questo approccio è la prova matematica che, sebbene l’inganno sia considerato un comportamento irrazionale, poiché è punibile, può prendere il controllo di un’intera popolazione.
Il mio gruppo ha applicato la teoria dei giochi a una serie di esperimenti di evoluzione virale in vitro. È un campo di ricerca relativamente nuovo, che però si sta dimostrando molto efficace per mettere alla prova alcune ipotesi fondamentali della biologia evolutiva. I suoi vantaggi sono numerosi: i virus si coltivano con estrema facilità, si replicano in tempi brevi e danno origine a popolazioni molto numerose. Benché gli esperimenti siano effettuati in vitro, l’evoluzione procede per selezione naturale, perché è l’habitat del laboratorio a determinare le varianti genetiche favorite nella trasmissione dei geni alla generazione successiva.
Si tratta di un meccanismo ben diverso dalla selezione artificiale, dove è l’allevatore a decidere quali varianti potranno riprodursi. Ma l’aspetto più importante è che i microrganismi possono essere conservati indefinitamente in un congelatore, creando così una «documentazione fossile» che consente di confrontare direttamente i caratteri genetici di una popolazione ancestrale e quelli dei suoi discendenti.

Contese virali

I virus sono parassiti che dipendono dall’apparato genetico di un organismo ospite per riprodurre copie di se stessi. In ogni dato momento un individuo contagiato può ospitare diverse specie di virus, o addirittura varianti genetiche (genotipi) della stessa specie. L’ospite diventa così un ecosistema in cui si verificano le potenziali interazioni fra virus. Talvolta queste interazioni sono indirette: per esempio quando il sistema immunitario dell’ospite si attiva contro una specie virale e contemporaneamente si sta difendendo da altri virus. La febbre dell’ospite può essere una risposta generalizzata a un’infezione specifica, ma la temperatura elevata può rallentare la crescita di tutti i virus presenti nel corpo.

Quando i virus interagiscono direttamente, invece, gli effetti sui loro simili sono più difficili da individuare perché avvengono all’interno di una singola cellula. Quando un virus entra in una cellula, dirotta il metabolismo dell’ospite istruendolo a costruire le componenti necessarie all’assemblaggio di altre particelle virali. Nella cellula infettata da più virus, i prodotti metabolici cellulari diventano liberamente accessibili a ciascuno dei patogeni che partecipano alla coinfezione, in un processo detto «complementazione», in cui un virus fornisce un prodotto utile che non può essere creato da un altro virus.

Se i virus si forniscono risorse utili l’un l’altro, l’interazione è vantaggiosa per tutti. Prendiamo il caso della coinfezione di una cellula da parte di due virus mutanti diversi tra loro perché hanno alcuni geni inattivati in posizioni differenti del genoma. Il pool di risorse comuni consente ai virus di usare i prodotti proteici elaborati dai loro simili e la coinfezione aiuta i mutanti, permettendo loro di riprodursi in condizióni in cui non potrebbero farlo. Interazioni reciprocamente vantaggiose di questo tipo sono però rare, oppure estremamente difficili da individuare. Accade molto più spesso che i virus mostrino un conflitto di interessi, e che un virus si appropri egoisticamente delle risorse disponibili ai danni di altre specie o genotipi virali.

In una forma di complementazione nota come «mescolamento fenotipico», un virus acquisisce da un altro alcuni tratti osservabili (fenotipici, appunto). Questo fenomeno coinvolge spesso un conflitto per le proteine usate per creare il capside virale, l’involucro che protegge il materiale genetico del virus. Il mescolamento fenotipico permette a un virus di acquisire le proteine del capside dal pool di risorse di virus diversi: un vantaggio cruciale, perché sono alcune proteine presenti sul capside a decidere se il virus può legarsi a un particolare recettore sulla cellula ospite.

L’interazione fra due virus vegetali esemplifica l’importanza di questa strategia nella propagazione virale. I luteovirus infettano quasi tutti i tipi di coltivazioni alimentari o tessili. Questi patogeni riescono a spostarsi facilmente da una pianta all’altra chiedendo «un passaggio» a minuscoli insetti che succhiano la linfa vegetale, gli afidi. Anche gli umbravirus infettano le colture, ma non sono in grado di farsi trasportare dagli afidi. La situazione cambia se luteovirus e umbravirus riescono a coinfettare la stessa pianta. Gli umbravirus rubano alcune proteine del capside dal pool di risorse dei luteovirus, si agganciano agli afidi e si trasferiscono così su una nuova pianta ospite. Nel frattempo, gli sfortunati luteovirus subiscono una perdita netta delle proteine di cui hanno bisogno per costruire la loro progenie.

La complementazione può entrare in gioco anche nei conflitti in cui un virus si appropria di un enzima che un altro usa per replicarsi. L’esempio più noto coinvolgè un virus normale e uno difettoso, di solito un virus con un genoma «accorciato» privo di uno o più geni fondamentali. Il fenomeno è stato descritto per la prima volta in esperimenti di laboratorio con i poliovirus. Quando questi virus sono fatti crescere a elevata densità in una piastra di coltura si verifica una forte pressione selettiva che provoca la perdita di alcuni geni: i virus, cioè, diventano difettosi, poiché quelli con il genoma accorciato si replicano più velocemente dei virus il cui genoma mostra una lunghezza normale.

I virus difettosi interferiscono con il successo riproduttivo di quelli normali usando i loro prodotti genici, cosicché i virus normali assumono il ruolo di aiutanti (detti helper). Poiché i virus si riproducono in modo esponenziale, anche un leggero vantaggio nella velocità di replicazione può portare a drastiche differenze. Il problema dei virus «difettosi-interferenti» è che dipendono completamente dagli helper per ottenere proteine chiave. Se il vantaggio replicativo dei virus difettosi-interferenti provoca l’estinzione degli helper, entrambi i ceppi muoiono.

La maggioranza dei viralogi considera i virus difettosi-interferenti come uno sfortunato inconveniente che può compromettere gli obiettivi delle loro ricerche, per esempio contaminando la purezza di un vaccino commerciale. Per un ecologo microbico, invece, i virus difettosi-interferenti sono particolarmente affascinanti a causa della loro natura di parassiti di altri parassiti, o superparassiti, un fenomeno che si osserva raramente in biologia.

Può venire spontaneo chiedersi se i virus difettosi-interferenti non siano semplicemente artefatti di laboratorio. Alcune recenti ricerche suggeriscono che un fenomeno simile potrebbe non essere insolito anche in vivo. Il superparassitismo naturale è stato osservato fra i virus che infettano gli allevamenti e le coltivazioni. La maggioranza dei virus difettosi identificati all’interno di questi sistemi sono virus satelliti e, di solito, non mostrano alcun rapporto con il loro helper. Per contro, i virus difettosi-interferenti presentano somiglianze genetiche riconoscibili con gli helper da cui si sono evoluti perdendo alcuni geni.

I virus difettosi-interferenti potrebbero essere rari in natura perché gli helper sembrano evolvere una resistenza all’infezione parassitica da parte di virus a cui sono strettamente imparentati. Per qualche ragione, è più facile che i virus satelliti riescano a eludere le resistenze messe in atto dagli helper.
Non risulta che i virus difettosi svolgano un ruolo rilevante nelle patologie umane, ma un’eccezione degna di nota è il virus dell’epatite delta, un satellite associato al suo helper, il virus dell’epatite B. Insieme, questi due virus provocano un danno al fegato insolitamente grave nei casi di epatite cronica attiva. Non è chiaro come mai i virus difettosi non siano più coinvolti nelle malattie dell’uomo, ma è possibile che i clinici non abbiano ancora scoperto altri esempi presenti in natura.

Anche se i virus superparassiti possono evolvere con estrema rapidità, è altrettanto facile che la loro stretta dipendenza dagli helper li faccia finire in una sorta di vicolo cieco evolutivo. Studiare il successo dei virus parassiti in natura sarebbe un compito scoraggiante, poiché le variabili incontrollate sono troppe. Ma le interazioni virali possono essere analizzate in laboratorio in condizioni controllate, misurandone il tasso di crescita relativo, e questo approccio può essere migliorato con l’impiego di modelli matematici che esplorano con quanta facilità emergono e se, e quanto a lungo, persistono i virus parassiti. E poiché la teoria dei giochi si interessa da molto tempo al successo dei parassiti e di altri imbroglioni, vi sono numerosi modelli matematici tra cui scegliere.

Quando il crimine paga

Per capire come si può applicare la teoria dei giochi alle interazioni virali, prendiamo l’esempio del famoso «dilemma del prigioniero». I protagonisti sono due persone interrogate separatamente a proposito di un crimine. L’inquisitore offre a ciascun prigioniero due alternative: se entrambi tacciono (cooperano), ciascuno di loro riceverà una condanna mite: un solo anno di reclusione. Se entrambi confessano, finiranno tutti e due in prigione per dieci anni. Ma se a confessare è uno solo dei due – in altre parole, se bara, tradendo l’altro – il cooperatore è condannato a vent’anni mentre l’imbroglione è rimesso in libertà. Qual è la scelta migliore per un prigioniero?

La teoria dei giochi sostiene che il favorito è sempre chi bara, perché l’inganno,pur facendo rischiare una lunga condanna, offre l’unica possibilità di ottenere la ricompensa migliore: la libertà. Il risultato è affascinante, perché spiega come una ricompensa potenziale, ma incerta, può indurre gli individui a comportarsi in un modo che è collettivamente irrazionale: se entrambi i prigionieri seguono il loro interesse individuale, perdono.

Quando le diverse strategie sono associate alle differenze genetiche sottostanti, la teoria dei giochi è applicabile allo studio dell’evoluzione. Divulgata dal biologo inglese John Maynard Smith, la teoria evolutiva dei giochi entra in campo quando il successo riproduttivo di un individuo, o fitness, è dipendente dalla frequenza. Prendiamo l’esempio di un predatore che si nutra preferenzialmente del tipo di organismo più comune in una popolazione di prede perché è il più facile da riconoscere. Le prede con un aspetto più insolito, magari un colore del pelo non comune, avranno un maggior successo riproduttivo perché non sono notate dal predatore. Tuttavia il vantaggio diminuirà via via che questo tipo di preda diventa più comune, e quindi più riconoscibile agli occhi del predatore.
La teoria evolutiva dei giochi valuta costi e benefici in termini di fitness associata a strategie diverse, predicendo così il destino evolutivo delle varie tipologie. Il metodo prevede la creazione di una matrice 2×2 che contiene tutte le interazioni fra due strategie diverse (si veda lo schema qui sotto).

Cooperatore
Imbroglione
Cooperatore
Ricompensa
Ricompensa del gonzo
Imbroglione
Tentazione di imbrogliare
Punizione
La matrice illustra un caso di competizione fra un «imbroglione» e un «cooperatore» mostrando il risultato di ciascuna coppia di interazioni quando un individuo (colonna a sinistra) incontra l’altro individuo (riga in alto). Un cooperatore che ne incontra un altro è ricompensato, mentre se incontra un imbroglione riceve la «ricompensa del gonzo»: tipicamente, la perdita di risorse utili. Quando un imbroglione ne incontra un altro non c’è guadagno, e i due subiscono di solito qualche forma di punizione. E possibile determinare il successo relativo degli imbroglioni e dei cooperatori quando si possono quantificare costi e benefici per ciascuna delle interazioni. Quando queste strategie sono associate alle diversità genetiche esistenti, una matrice di questo tipo è in grado di prevedere se una tattica ne sostituirà un’altra nel corso dell’evoluzione.

 

Ogni dato immesso nella matrice consiste nel vantaggio riproduttivo ottenuto da chi ha adottato un tipo di strategia nel momento in cui interagisce con l’altro. La matrice, dunque, rivela il successo relativo delle varie strategie fino al punto in cui è possibile calcolare i valori matematici di fitness. Quando una popolazione si evolve fino a contenere solo individui con un’unica strategia, questa viene definita «strategia evolutiva stabile».

Se, fra due strategie, nessuna è in grado di sostituirsi all’altra, come nell’esempio preda-predatore sopra descritto, entrambe coesisteranno indefinitamente: in questo caso, si parla di «strategia evolutiva mista stabile». Nel dilemma del prigioniero, la teoria evolutiva dei giochi suggerisce che gli imbroglioni finiranno per avere il sopravvento: l’egoismo si rivela la strategia evolutiva stabile.

Il risultato è sorprendente perché è in qualche modo contrario alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin. Il darwinismo sostiene che le differenze tra le performance individuali consentono agli individui più adatti di avere una prole più numerosa, e che questo, col tempo, porta la popolazione ad adattarsi meglio all’ambiente. Il dilemma del prigioniero indica che gli imbroglioni riescono a sostituire con successo i cooperatori, diminuendo al contempo la fìtness media della popolazione. È facile dimostrare matematicamente il dilemma del prigioniero, ma ci sono voluti gli esperimenti in vitro sui virus per dimostrare che questa strategia può verifìcarsi anche in una popolazione biologica.

Prove tecniche di evoluzione

Insieme a Lin Chao, dell’Università della California a San Diego, abbiamo ideato una serie di esperimenti per studiare l’evoluzione delle interazioni comportamentali fra i virus. Nel nostro caso i giocatori erano dei batteriofagi o «fagi», cioè virus che infettano i batteri. In genere non si pensa ai fagi come dotati di comportamento, ma si sono rivelati molto utili per testare modelli che trattano strategie comportamentali conflittuali nella teoria evolutiva dei giochi. Prove che sarebbe stato difficile, se non addirittura impossibile, effettuare con organismi più evoluti.

Ci siamo serviti di un fago chiamato phi-6, un virus a RNA appartenente alla famiglia dei Cystoviridae, che aggredisce i batteri che infettano le leguminose. In vitro, di solito il virus cresce su batteri della specie Pseudomonas phaseolicola. Combinando il fago e le popolazioni batteriche in rapporti diversi non è diffìcile controllare se un virus infetterà una cellula batterica da solo o se infetterà la stessa cellula assieme ad altri virus.

Chao e io abbiamo creato sei popolazioni sperimentali di phi-6 crescendole su batteri della specie P. phaseolicola. A tre di esse abbiamo consentito di svilupparsi raggiungendo il rapporto fago-ospite che da origine esclusivamente a infezioni singole. Le altre tre popolazioni, invece, sono state fatte crescere secondo rapporti che consentivano le coinfezioni con una media di circa due o tre virus per batterio. Abbiamo poi lasciato sviluppare i virus per 50 giorni, corrispondenti all’evoluzione di circa 250 generazioni di fagi.
A quel punto, le popolazioni evolute sono state collocate in un «ring» fatto da una piastra di agar, e messe in competizione con le loro antenate, congelate e poi rivitalizzate. Abbiamo così potuto stimare i cambiamenti nella fitness, definiti misurando il tasso di crescita dei virus sui batteri. Se entrambi i virus crescevano ugualmente bene, la fitness del virus che si era evoluto rispetto a quella del suo antenato era considerata uguale a 1; se invece l’evoluzione aveva migliorato o peggiorato la capacità di crescita virale, allora il successo riproduttivo era rispettivamente maggiore o minore di 1.

Lo studio ha prodotto un risultato significativo: i virus coltivati nelle popolazioni coinfettate avevano una fitness decisamente maggiore durante le coinfezioni che durante le infezioni singole. Questo risultato è coerente con la possibilità che l’evoluzione in condizioni di coinfezione selezioni virus imbroglioni: genotipi in grado di usare in modo efficiente i prodotti di altri virus nel pool di risorse, ma meno efficienti nell’usare le proprie. I virus evoluti avevano anche la capacità di infettare i batteri e replicarsi autonomamente, e ciò indicava che gli imbroglioni non erano semplicemente virus difettosi-interferenti che avevano perduto dei geni chiave. Poiché il virus ancestrale non mostrava alcun vantaggio durante la coinfezione con altri genotipi virali, abbiamo definito la strategia ancestrale come cooperazione.

L’evoluzione dei virus imbroglioni con un set di geni completo è stata un’opportunità unica di controllare se il fago era invischiato nel dilemma del prigioniero. Dovevamo confermare due previsioni chiave. In primo luogo, che la fitness degli imbroglioni rispetto a quella dei cooperatori ancestrali dipendesse dalla frequenza: che risentisse cioè del rapporto fra imbroglioni e cooperatori. Secondo il modello, infatti, gli imbroglioni esibiscono la fitness migliore quando sono in numero inferiore ai cooperatori. La seconda previsione era invece che gli imbroglioni sostituissero completamente i cooperatori ancestrali, dominando la popolazione. Se questi due criteri fossero stati soddisfatti, e se la conquista da parte degli imbroglioni avesse portato a un declino della fitness media della popolazione, allora i risultati sarebbero stati coerenti con il dilemma del prigioniero.

Organizzammo una serie di competizioni fra un imbroglione evoluto e il cooperatore ancestrale. Per testare quanto la fitness dipendesse dalla frequenza, i due ceppi sono stati rappresentati a diverse frequenze iniziali (che variavano fra 0,1 e 0,9) per ciascuna gara, con titoli virali sufficientemente elevati da consentire la coinfezione. Dopo aver fatto competere i ceppi per cinque generazioni abbiamo scoperto che, in effetti, la fitness dell’imbroglione diminuiva di colpo quando la sua frequenza iniziale aumentava. In altre parole, quando gli imbroglioni erano pochi, in genere erano coinvolti in coinfezioni con i cooperatori anziché con altri imbroglioni, e quindi acquisivano un vantaggio riproduttivo grazie alla loro capacità di usurpare le componenti presenti nel pool di risorse. Quando invece gli imbroglioni erano molti, tendevano a coinfettare le cellule assieme ad altri imbroglioni, ma così non potevano approfittare del loro comportamento egoistico.

Lo stesso esperimento ha confermato anche la seconda previsione: gli imbroglioni devono prendere il controllo della popolazione. La fitness degli imbroglioni evoluti rispetto al cooperatore ancestrale era sempre maggiore di quella presente in tutti i rapporti iniziali. Questo vantaggio complessivo prevede che l’imbroglione evoluto finisca sempre col sostituire il cooperatore primitivo. Il consistente vantaggio competitivo consente agli imbroglioni un rapido incremento numerico. Anche se l’inganno comporta un costo che aumenta con l’aumentare del numero di imbroglioni, i cooperatori che avevano interagito con gli imbroglioni mostravano sempre la fitness più ridotta. Per questa ragione, nulla poteva impedire agli imbroglioni di avere il sopravvento. Il nostro studio è stato il primo a dimostrare l’evoluzione dei comportamenti irrazionali ed egoistici nei sistemi biologici.

Equilibri precari

Anche le interazioni fra i virus difettosi-interferenti egoisti e i virus helper cooperatori possono essere spiegate con la teoria dei giochi. Prendiamo una popolazione interamente composta da helper cooperatori che crescono in un ambiente dove la coinfezione è comune. Se un virus difettoso-interferente mutante entra in quella popolazione ha un vantaggio riproduttivo molto elevato, poiché è circondato da cooperatori che forniscono prodotti genetici essenziali. In questo modo i virus difettosi-interferenti diventano sempre più comuni nella popolazione.

Però via via che la frequenza relativa degli individui egoisti aumenta, la loro fitness diminuisce, perché c’è un numero sempre più ridotto di cooperatori. Se i virus difettosi-interferenti prendono il controllo, la loro fitness scende a zero perché non sono in grado di riprodursi in modo autonomo. In questo caso, la strategia dei virus difettosi-interferenti può persistere soltanto evolvendosi in una strategia evolutiva mista stabile che coinvolge anche un virus helper. I teorici del gioco evolutivo chiamano questa strategia «gioco del pollo».

Non è ancora chiaro come fanno i genotipi egoisti phi-6 a sequestrare in maniera così efficiente i prodotti del pool di risorse a danno del loro antenato cooperatore. I risultati ottenuti da altri esperimenti con phi-6 suggeriscono che vi sia implicato il fenomeno della complementazione. Quando si consente al ceppo ancestrale phi-6 di coinfettare la stessa cellula con diversi mutanti meno adatti del virus, nella prole compare un numero di mutanti maggiore di quello atteso. Ciò suggerisce che la complementazione può accadere passivamente ogni volta che genotipi multipli di phi-6 infettano la stessa cellula.

I virus imbroglioni possono evolversi perché la loro prolungata esposizione alla coinfezione determina una selezione che li spinge a divenire più efficienti quanto a complementazione, una caratteristica che era già presente nell’antenato. Questo presuppone che la complementazione non sia sempre totalmente passiva e che, quindi, possa essere migliorata attraverso la selezione. Una possibilità è che gli imbroglioni non siano molto efficienti nella produzione di proteine necessarie per il capside, il che potrebbe spiegare la loro scarsa produttività nel processo infettivo individuale. Tuttavia, possono essere molto efficienti nel forzare l’ingresso nei capsidi prodotti dai cooperatori durante la coinfezione. È probabile che gli imbroglioni abbiano sviluppato meccanismi che riconoscono il legame e l’ingresso nei capsidi virali.

Fuori dal laboratorio

Gli studi in vitro sui virus imbroglioni e sui batteri possono apparire un po’ esoterici, ma sono utili per capire l’ecologia e l’evoluzione dei microrganismi, tanto in natura quanto in contesti medici e commerciali. Si sa poco delle interazioni in natura fra microrganismi; in effetti, la maggior parte delle specie microbiche deve ancora essere descritta. La strategia dell’imbroglio è stata osservata in vitro in virus, batteri e mixomiceti, ed è verosimile che anche nelle comunità naturali di questi organismi, prima o poi, si scoprano dei bari.

Gli esseri umani usano fin dall’antichità batteri e lieviti per la produzione e l’aromatizzazione di cibi e bevande. Più di recente, l’uomo ha coltivato microrganismi per creare vaccini, che spesso sono costituiti da microbi indeboliti o inattivati. Ora abbiamo vaccini contro malattie infettive come la poliomielite, il morbillo e gli orecchioni, e molti ricercatori sono impegnati nello sviluppo di vaccini per malattie come l’AIDS e la malaria. In zootecnia, i vaccini sono usati per prevenire malattie nel bestiame, e le coltivazioni irrorate con virus o batteri per combattere le malattie delle piante o colpire gli insetti nocivi. La ricerca descritta in questo articolo suggerisce che i produttori di microrganismi dovrebbero stare attenti alla possibilità che virus imbroglioni contaminino i prodotti.

D’altra parte, i virus imbroglioni schiudono nuove prospettive di applicazione dei microrganismi. Per esempio, si sta cercando di capire se ceppi difettosi di HTV siano in grado di interferire con la capacità deH’HIV normale di replicarsi e diffondersi nell’organismo e quindi di prevenire o ritardare lo sviluppo dell’AIDS negli individui contagiati da questo virus.

In seguito al nostro studio, è stato suggerito che anche alcune popolazioni di lieviti e di batteri potrebbero svilupparsi con uno schema simile al dilemma del prigioniero. Alcune cellule di lievito rinunciano a produrre gli enzimi necessari a digerire gli zuccheri preferendo appropriarsi di zuccheri digeriti dai cooperatori. E alcuni mutanti batterici barano ignorando di proposito un segnale chimico di arresto della crescita. Ma non tutti concordano sul fatto che il dilemma del prigioniero sia il modo migliore per descrivere le interazioni fra microrganismi. I microbi sono incapaci di comportamenti complessi tipici delle forme di vita «più evolute», per cui modelli matematici non basati sul comportamento animale potrebbero fornire una descrizione più accurata di questi fenomeni.

Un’interpretazione alternativa comprende «produttori» e «scrocconi». Un produttore spende energia generando opportunità di sfruttamento delle risorse essenziali per sopravvivenza e riproduzione; uno scroccone, invece, approfitta di queste opportunità, appropriandosi delle risorse che i produttori estraggono dall’ambiente. In quest’ottica, il fago ancestrale phi-6 è il produttore, mentre i virus discendenti che si sono evoluti durante la coinfezione sono gli scrocconi. Le risorse limitate potrebbero essere gli enzimi di replicazione o altre proteine essenziali per la produzione della progenie. Quando gli scrocconi sono rari incontrano spesso produttori, e quindi hanno molte opportunità di catturare le risorse. Gli scrocconi sono avvantaggiati e dovrebbero aumentare quando sono rari.
L’analogia produttore/scroccone presume che scroccare abbia un costo, che potrebbe semplicemente essere un incremento nella competizione fra scrocconi quando diventano numerosi. Se la strategia dello scroccone non comporta costi troppo elevati, sostituirà nella popolazione quella del produttore. Ma se ciascun produttore trattiene una frazione consistente delle risorse che produce, nonostante un’elevata frequenza di scrocconi i produttori aumenteranno quando sono poco numerosi e porteranno le due strategie a fondersi in una miscela equilibrata.

Ovviamente i conflitti cooperatore/imbroglione e produttore/scroccone hanno molte somiglianze: la più importante è che entrambi riguardano il parassitismo di un virus da parte di un altro. Una differenza è che gli scrocconi sono bravissimi soprattutto nella competizione indiretta per le risorse rare, mentre gli imbroglioni sono specializzati nella competizione diretta con i loro particolari virus helper. Così, l’analisi della fitness relativa a una varietà di genotipi virali può chiarire se un tipo di conflitto possa descrivere meglio dell’altro l’intera situazione. In entrambi i casi, a essere coinvolti sono sempre un imbroglione e un gonzo. E la battuta attribuita a Barnum potrebbe diventare «ogni microsecondo nasce un gonzo».

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